“Deterrenza” e “irreversibile”. Non sono parole buttate a caso. Sono l’anticamera della probabile, possibile, terza guerra mondiale. Ed è nei fatti la linea strategica geo-politica emersa dal summit di Washington.
Un “soviet” a guida Usa, con gli occidentali nel deprimente ruolo di camerieri ossequienti e ossequiosi, al massimo di compartecipi, e con un Biden ormai irrecuperabile e ingestibile, grazie all’ennesima gaffe che ha fatto (nella presentazione ha confuso Zelensky con Putin).
Un Biden che, al contrario, quando si tratta di decidere i comportamenti altrui orientando le scelte filo-Kiev, recupera sorprendentemente lucidità e piglio (eterodiretto).

Morale, l’Ucraina a passo spedito verso l’ingresso nella Nato. Il prossimo step sarà l’invito formale e poi la piena membership.
Tradotto, quando l’Ucraina sarà attaccata dai russi, per dovere statutario tutte le nazioni della Nato, Italia compresa, dovranno rispondere militarmente. E in quel caso non saranno più possibili i numerosi distinguo “pacifisti” che stanno caratterizzando il governo Meloni.
Ditemi voi se il termine “irreversibile” è tranquillizzante.
Per non parlare delle armi e dei soldi. Altre questioni non da poco. E anche qui, l’attendismo, talvolta intelligente del nostro esecutivo, ha i giorni contati.
Lo slogan dei bellicisti (sempre a regia Usa) è palese: “La restrizione all’uso delle armi a lungo raggio che consentono di colpire obiettivi in terra russa rientra nel diritto di autodifesa”. Capito? Ulteriore tassello per il conflitto mondiale, data la sicura reazione di Putin e a quanto si apprende, pure della Cina (“così si incita allo scontro”).
Come si comporterà ora l’Italia? Oscillerà tra le maglie comunicative dal summit (“spetta alle singole nazioni decidere come le armi saranno utilizzate”)? A smentire tale rassicurazione ufficiale, la dura e triste realtà: Washington e Berlino hanno specificato che dal 2026 cominceranno a dispiegare in Germania missili americani a lungo raggio, per la prima volta dalla guerra fredda, prima in modo episodico, poi in modo duraturo”.
Tutto giustificato col termine “deterrenza”?
Cosa pensano, che nel 2026 la guerra sarà finita? Dimenticano, inoltre, che il conflitto non è iniziato con l’invasione russa, ma con il tradimento degli accordi di Minsk del 2014 (l’autonomia delle regioni russofone del Donbass), ad opera proprio della “madonna pellegrina e piangente”, che risponde al nome di Zelensky.
Certo, un bel nodo da sciogliere per la Meloni. “Deterrenza” e “irreversibile”, in prospettiva, sono e saranno due macigni per lei. E non servirà la sensibilizzazione africana della premier (le politiche espansionistiche di Russia e Cina nel continente nero), e la condivisione del nuovo concetto di sicurezza (“i cavi sottomarini, intelligenza artificiale, cyber security).
Contano solo i numeri. Il vertice ha stanziato per Kiev 40 miliardi di dollari; e noi per una “pace giusta” dovremo sborsare 1,7 miliardi; soldi che per la sanità, l’ambiente, il sociale nazionale non si trovano mai.
Ma, evidentemente, è il prezzo di un governo di destra per avere credibilità internazionale.
Nel nome della sovranità da difendere, tutelare e affermare. Una sovranità che non esiste più, non solo in Ucraina: quando uno Stato non batte più moneta, non è più padrone delle fonti energetiche, delle infrastrutture, dell’economia, è solo un vassallo feudale delle neo aree- imperiali (la prima, occidentale a guida Usa, la seconda euro-asiatica, Cino-russa). Non sarebbe meglio lasciar stare la parola sovranità?