La differenza tra il centro-destra e il centro-sinistra, rispetto al risultato sardo, sta tutta in una foto che rappresenta plasticamente l’errore fatto dalla Meloni e il coniglio dal cilindro tirato fuori con estrema fortuna dal duo Conte-Schlein.

Per quanto riguarda la Todde, neo governatrice dell’isola per il rotto della cuffia, è risultato vincente l’aver reiterato il “modello-Bonaccini”. Tradotto: faccio finta di non essere emanazione dei giochi di Palazzo romani, di non essere stata catapultata dall’alto in omaggio al concetto del “campo giusto” (altra traduzione: il primato a sinistra di Conte); non gradisco loghi di partito e ai comizi di chiusura non voglio (idea sua o suggerita?), che vengano la “segretaria” e il “presidente”.

Ergo, raccolgo il consenso e vinco nel nome dell’orgoglio sardo, del patriottismo autonomista, del voto locale. Se avesse perso, un format studiato a tavolino, Conte e la Schlein avrebbero parlato di realtà specifica.

Invece, la Todde ha vinto per 3mila voti e i due ora gridano vittoria ovviamente a livello nazionale; parlano e straparlano del primo schiaffo dato alla Meloni; non solo un mero campanello d’allarme, ma un’inversione di tendenza iniziata. In soldoni, la fine della luna di miele della destra con gli italiani durata pure troppo.

Una furbizia comunicativa che ha dato indubbiamente buoni frutti. Ulteriore prova di una superiorità strategico-elettorale da parte della sinistra che su questo piano è storicamente più professionale ed efficace della destra. Una destra prigioniera della sua superbia, arroganza, protervia e autoreferenzialità.

Approfondiamo il versante dei perdenti. Lo sbarco “negativo” di Truzzu è stato paradigmatico di un male che attanaglia ciclicamente la destra. E non solo l’atavico problema della formazione e selezione di una classe dirigente di qualità (siamo passati dal “partito-azienda”, quello di Berlusconi, al “partito-osteria”, quello di Salvini, al partito “famigliarista Colle Oppio-Atreju” e i risultati si cominciano a vedere, ripetendo tristemente un film che dura da decenni, dal 1994, al 2001, al 2008). Ma in primis, quella che si può chiamare “Barabbite”, la “sindrome mistica di Barabba”: il popolo che non sceglie Gesù, la verità, ma la pancia, gli interessi del momento, gli umori che vanno e vengono.

Evidentemente non stiamo accostando la Todde a Barabba, ma ci riferiamo al populismo demagogico ormai Dna della destra. Quell’eterno plebiscito da democrazia diretta o presidenzialista (riflesso obbligato del partito-persona), che ritiene divine unicamente le scelte del popolo.

Infatti, la premier è scesa in campo mettendoci la faccia (almeno è stata coerente), affiggendo manifesti col suo nome per la Sardegna e solo nella fase finale della campagna elettorale sono apparsi quelli di Truzzu; imponendo un sindaco di Cagliari che già non godeva della fiducia dei suoi cittadini (va detto che il leghista Solinas, dati e numeri alla mano, sarebbe andato peggio), confermando di fatto scelte decise da Roma, per esclusivi motivi di “vampirizzazione” e “cannibalizzazione” interna alla coalizione.
E non è la prima volta che la Meloni sbaglia a causa di tale metodo: ricordiamo l’errore-Michetti. E il tramonto di Renzi, che ha trasformato una riforma in un referendum personale, avrebbe dovuto dirle qualcosa.

E adesso? Vedremo la narrazione che faranno i due schieramenti. Scontati i contenuti che veicoleranno sicuramente Pd e 5Stelle; Fi, dal canto suo, molto probabilmente, avrà qualche elemento in più per pretendere un proprio spazio centrista, e Salvini sarà stretto tra una Meloni che scricchiola, ma ancora molto prevalente sulla Lega e i governatori del Nord che pensano a un Carroccio “desalvinizzato”, non più sovranista nazionale.

Il guaio degli opposti schieramenti italici, va detto, viene da lontano. Maggioritario, maggioritario corretto, attenuato, rimane ossessivamente nella testa dei partiti e dei suoi leader una postura irrimediabilmente proporzionale. Il sistema politico italiano, dalla seconda Repubblica in poi, non è mai riuscito a conciliare, mediare, risolvere il rapporto tra rappresentanza, democrazia compiuta e decisione.

Se non c’è omogeneità culturale non ci sarà mai governabilità coerente. Come fanno a convivere a destra tante, troppe anime incompatibili? Si prendono i voti, ma non si guida, né si guiderà mai la cosa pubblica. Come possono trovare sintesi che non siano solo finte o strumentali, quando dentro un polo hai europeisti, euroscettici, liberali, liberisti, sociali, statalisti, estremisti, moderati, cattolici, laici? Come se si tentasse di fare una legge sulla droga avendo sia Ruini, sia Pannella. Il massimo che si otterrebbe come legge (è una battuta), sarebbe “la libertà di fumarsi uno spinello in Chiesa”.

E se il centro-destra piange, il centro-sinistra rischia in prospettiva di non ridere. Il vulnus della destra è speculare a sinistra: come fanno e faranno domani ad andare d’accordo liberali, laicisti, statalisti neo-post-comunisti, filo-sindacalisti, filo-green economy, moderati, estremisti, giacobini, catto-dem, filo-Lgbtq, atlantisti, filo-Usa, filo-Bruxelles e pacifisti, filo-Palestina, se non filo-Hamas?