Quando la narrazione enfatica e dogmatica non lasciava il posto all’osservazione critica, alla lucidità delle menti libere, eravamo in pochi a tentare di capire, a cercare di guardare oltre le parole e a decriptare la missione religiosa di Bruxelles, veicolata meccanicamente in Italia da una classe politica totalmente asservita agli interessi globalisti e lobbistici. E che ora, il governo Meloni cerca di ammorbidire, correggere, mediando tra il reale possibile e gli obbligati equilibri internazionali.

Stiamo parlando del Pnrr. Sapevamo perfettamente che la messa a terra dei progetti sarebbe stata un grave problema. E continuavamo (come continuiamo imperterriti) a dire una cosa: come mai si evita di ricordare quanti soldi “miracolosi” sono a debito (e quindi, pagati da noi con le tasse) e quanti a fondo perduto? E ancora: come mai la sanità, una delle principali ragioni del Recovery plan, è solo all’ultimo posto, addirittura dopo la coesione sociale? E guarda caso, la scala gerarchica delle priorità, parte dall’intelligenza artificiale, dalla digitalizzazione e dalla Green Economy?

In realtà, avevamo capito che dietro il Recovery c’è molto di più di ciò che sembra, dall’apparenza fiabesca: il disegno della società futura, alimentato da un capitalismo alternativo a quello passato, che fa business su una nuova ideologia: “l’ecologismo da default”. Ecologismo che solo momentaneamente la guerra in Ucraina ha fermato, con massimo dolore per uomini come Draghi (la questione del fotovoltaico, della dipendenza energetica, e delle fonti sporche, come carbone, gas e petrolio, prodotte dai cosiddetti paesi nemici o fuori dell’unilateralismo Usa: Russia, Cina e India, additati come inquinatori, retrogradi e pericolosi).

Le prove? Basta vedere i comportamenti e i diktat di fatto della Ue, lentissima quando si tratta di modificare il rigorismo (il patto di stabilità), o avviare una seria e razionale politica sugli immigrati; velocissima invece, quando ordina l’ortodossia sui diritti Lgbt, sulle trascrizioni dei figli comprati con l’utero in affitto, sulla carne sintetica, o quando ordina la conversione urbi et orbi al mito dell’elettrico, obbligando i popoli a cambiare macchina, a non poter circolare liberamente nelle proprie città, per non dire delle conversioni green delle abitazioni, altrimenti non si possono vendere.

Lasciando perdere il passaggio della dipendenza dalla Russia alla Cina e l’alto tasso di inquinamento dell’elettrico, il tema ovviamente è più generale e complesso.
La risposta alle obiezioni di politici e intellettuali non organici al pensiero unico, è stata ed è sempre la stessa: “Vuoi i soldi, devi guadagnarteli, nessuno fa niente per niente”.
Appunto, nessuno fa niente per niente. E cosa vuole l’Europa?

Il governo Meloni si è accorto che forse sarebbe meglio non utilizzare i soldi a debito (ma degli altri a fondo perduto, in verità, ne rimarrebbero pochi), oppure bloccare i fondi relativi a quei progetti previsti, ma impossibili a realizzarsi per tanti motivi: l’incapacità delle amministrazioni locali di metterli a terra, la mancanza di tecnici e di imprese specializzate etc.

E qui, l’altro punto, l’altro inganno, che poteva essere “letto” in anticipo.
Quali sono le cosiddette tecnicalità, ossia le condizioni per accedere ai fondi? Riforme, anche queste imposte agli Stati “beneficiari del Pnrr”: riforma della giustizia, del fisco e della pubblica amministrazione.
L’ulteriore domanda sarebbe: che c’entrano tali riforme? Purtroppo in questi giorni si capisce: “Cambiando ossatura delle istituzioni, la messa a terra dei progetti sarà più facile”. La spiegazione di Bruxelles che dal suo punto di vista è logica: sarebbe la soluzione all’impasse tecnica e amministrativa che ha causato il blocco dei progetti. Ma la ragione profonda è che si pretende la totale omogeneità ideologica alla Ue. Tradotto, tutti gli Stati europei uniformati al modello-Bruxelles politico, culturale, istituzionale (che sarà chiamato “passo ulteriore verso la vera unità e aggregazione continentale”).

E il paradosso è che nessuno denuncia questo pericolo. A livello politico, ma soprattutto, a livello economico: un capitalismo che dopo la fase espansiva, basata sulla mistica del consumo (dall’economia della necessità all’economia del desiderio, che per sua natura è compulsivo e illimitato, pertanto si intuisce come siamo diventati anche una società del desiderio, dove ogni desiderio deve diventare un diritto), si è trasformato in “capitalismo della regressione, della restrizione”.

Un’economia incentrata sui sacrifici, sulle limitazioni (sempre fonte di business). Della serie, rinuncia, non spendere, risparmia luce, energia, autovetture, case, vita civile, vita pubblica, fotovoltaico, monopattini etc. La “religione del benessere” ha lasciato il posto alla “religione dell’espiazione”, comunicata però, come positiva, per il nostro bene. Con un tratto comune rispetto al passato: restiamo ostinatamente “occidentocentrici”. Prima come europei, artefici del progresso universale, ora responsabili dei danni al pianeta, dei danni alla natura, delle rapine perpetrate ai popoli colonizzati e simbolo permanente di corruzione morale e materiale. Per di più siamo troppi sulla terra, e quindi, dobbiamo essere eliminati (eutanasia “dedicata” ai più fragili, agli anziani, agli inguaribili ma non incurabili).
Come non riconoscere nei punti culturali del Pnrr tutto questo? Contestare un modello di futuro, non vuol dire contestare il futuro.
Ma non capire la mutazione genetica dello “Stato etico sanitario” (la gestione politica del Covid) nello “Stato etico verde”, è da dementi.