Immigrazione, giustizia, temi etici sono i confini invalicabili tra destra e sinistra.
Anche se chi scrive viene da una profonda cultura istituzionale bisogna prendere atto della realtà e dire la verità. Inutile tentare mediazioni, sintesi, compromessi politici, nel nome di valori comuni, memoria comune, senso dello Stato, patriottismo della Costituzione, bene collettivo, che gli italiani non hanno, non hanno mai avuto, e se per qualche decennio è sembrato di sì, hanno smarrito.
E i “segni-segnali” sono ovunque: le strumentalizzazioni manichee e le interpretazioni opposte (al di là della retorica e della conseguente ipocrisia) a ogni ricorrenza storica (2 giugno, 25 aprile, 25 luglio, 1maggio etc), parlano chiaro; a cui si aggiunge l’astensionismo (la disaffezione, il distacco, l’indifferenza, l’ostilità), espresso dal 50% degli elettori, oltre ai sondaggi che rivelano da tempo un tasso di sfiducia per tutti, nessuno escluso (politica, magistratura, Forze dell’Ordine, servizi).
Destra e sinistra, se sono coerenti con il loro Dna culturale e ideale, rappresentano, propongono, due idee inconciliabili di famiglia, società, economia, geopolitica.
I richiami da parte del capo dello Stato all’importanza di un collante tra l’altro inesistente che dovrebbe unirci, suonano come i tristi e vuoti richiami di certi vecchi maestri di scuola o dei nonni isolati in cucina che parlano a vuoto. La stessa tentazione di riproporre ciclicamente un “centro di gravità permanente” (attualizzazione del mai morto trasformismo nazionale, dello schema-Dc o Ulivo), risulta più come un’operazione meramente mediatica che sostanziale.
Anche perché al centro chi ci abita? I delusi, gli arrabbiati, gli indecisi? Esattamente il contrario dei moderati.
Ma tornando al bipolarismo che si veste di nomi sempre diversi (“Dc-Pci”, “Berlusconi vs sinistra”, “Sinistra vs Salvini”, e adesso “Meloni vs Schlein”), le idee, i valori sostenuti da destra e sinistra sono incomunicanti. Mettiamocelo in testa. Specialmente su aspetti fondamentali come l’identità, l’immigrazione, la giustizia, i temi etici.
Ad esempio, dietro le polemiche sull’Albania, l’accoglienza, i paesi sicuri e non, se non scendiamo nel ridicolo o nel banale scontro mediatico orchestrato unicamente per il consenso, c’è una diversa visione del mondo. O si sta di qua o di là.
La sinistra, amplificatrice del “cittadino del mondo”, del “tutti fratelli”, del cosmopolitismo, dell’internazionalismo ex-proletario, pretende legittimamente che le politiche di integrazione debbano incentrarsi sulla legalità e basta. Si passano le frontiere e poi si vede.
La destra invece, vuole coniugare “legalità e identità”. Partendo dal presupposto che esista il “primato della casa che accoglie”, ossia l’identità storica, culturale e religiosa di ogni popolo. Tale differenza è la premessa per distinguere nel dibattito quotidiano un’“accoglienza sostenibile” (parametrata alle disponibilità sanitarie, logistiche e lavorative degli Stati) e la “cittadinanza” che va concessa dopo un doveroso percorso di integrazione ai valori, alle leggi e regole della “casa che accoglie”. Per la sinistra, va detto, non c’è nessuna casa che accoglie, c’è solo l’umanità; per i suoi protagonisti, leader, intellettuali, giornalisti la casa è “il mondo”. E qui sta l’enorme, abissale differenza. Del resto la narrazione della sinistra finora è stata linea col suo progetto: primo step, siamo tutti fratelli (il “primato della dignità umana”, come se dall’altra parte ci sia il male, l’egoismo); poi, i migranti fanno i lavori che gli italiani hanno abbandonato (secondo step); infine, ultimo step, visto che non facciamo figli, ci pensano loro a compensare la crisi demografica e a pagare le tasse. Risultato, le nazioni non esistono più, almeno nella loro definizione classica. Al loro posto, un insieme di “apolidi” (senza differenza tra autoctoni e nuovi arrivati: lo ius soli ne è la chiave di accesso, il cavallo di Troia), e un insieme di “precari”, senza identità professionale (la famosa “etno-sostituzione” che dà tanto fastidio, ma è nei fatti), schiavi a 360 gradi dell’economia. Questo è lo scontro di civiltà.
Altro tema: dietro la disputa sulla vicenda-Salvini (Open Arms), il quale ha rischiato la condanna in primo grado, non c’è un semplice e non acclarato sequestro di persona, ma pure qui, una visione del mondo. Da un lato, il “primato dell’umanità” (principio astratto, ovviamente sostenuto dalla sinistra, dai liberal, dai radical); dall’altro, il “primato della sovranità degli Stati”.
Chi ha studiato e ricorda le nozioni basiche del diritto, sa perfettamente che uno Stato ha come elementi costitutivi l’autosufficienza delle fonti, il popolo e il territorio. Domanda: esiste per caso un territorio senza confini? Confini che tra l’altro, non “limitano” ma “delimitano” una cultura, una storia, una tradizione? Salvini quindi, si è comportato come un uomo di Stato, punto. Ed è stato dentro le regole, combattendo i “professionisti dell’umanità”.
Merita semmai, un discorso a parte, l’effettiva sovranità oggi degli Stati nazionali: se uno Stato non batte moneta, non è proprietario della propria economia, delle proprie fonti energetiche ed infrastrutture, che sovrano è?
Ultimo argomento, i temi etici. Se la destra è onesta con i voti che chiede, gli annunci che fa e il collegamento vero con i suoi filoni culturali, sta con la vita, la famiglia naturale, la differenza tra maschio e femmina, tra padre e madre, le identità religiose (nel nostro caso la religione cattolica); in soldoni, una “società basata sulla natura” e non sulla “mente”, come altrettanto fieramente vuole imporre urbi et orbi la sinistra, da cui discende l’identità sessuale liquida, l’autopercezione identitaria, il gender, i matrimoni arcobaleno, l’utero in affitto e via dicendo.
Per concludere, riteniamo che un’operazione-verità vada imposta e impostata. Farebbe bene alla destra e alla sinistra. E, eviterebbe giustificazioni, analisi perdenti e difese d’ufficio non credibili che favoriscono solo dell’avversario.
E poi, alle elezioni vinca il migliore: tradotto, l’idea prevalente di società.