Il governo Meloni affronta la prova del 25 aprile nel tentativo di una pacificazione nazionale. Conversazione con il prof. Fabio Torriero

Il primo governo di destra della storia d’Italia è chiamato a misurarsi con una data simbolo della storia nazionale: l’anniversario del trionfo della resistenza sul nazifascismo. Le celebrazioni del 25 aprile sono state accompagnate dalle polemiche per le parole di importanti esponenti della maggioranza, come il presidente del Senato Ignazio La Russa, sulla natura antifascista della nostra Carta Costituzionale.

Della difficoltà di una memoria condivisa e degli scogli del governo Meloni alla prova del 25 aprile ne abbiamo parlato con il prof. Fabio Torriero, docente in Media, società e comunicazione politica presso l’Università Lumsa.

In che modo, secondo lei, il governo può affrontare la ricorrenza del 25 aprile?

Allora prima di tutto mi lasci dire che credo che non ci sarà mai una memoria condivisa. La nostra unità nazionale è giovane, lo Stato unitario è stato fatto nel 1861, non siamo come i francesi, gli inglesi, gli americani che sono prima francesi, inglesi o americani. Siamo, purtroppo, ancora figli di patrie di parte e figli un po’ della guerra fredda. Quindi, dobbiamo entrare nell’ordine di idee di una memoria accettata, non condivisa.

Che intende per memoria accettata?

Intendo che le due parti devono rispettarsi: da una parte si parlerà della resistenza, del 25 Aprile, dell’8 settembre a senso unico, dall’altra ci saranno altre interpretazioni. Da questa tolleranza potrà nascere una memoria accettata e ripeto, non condivisa.

E poi?

E poi basta con l’ideologia della storia perché fino adesso purtroppo, soprattutto a sinistra e in parte minoritaria a destra, si è fatta troppa ideologia della storia. Con questa espressione intendo dire che si è usata la storia come clava politica per condannare, colpire la parte avversa o esaltare la propria parte. Questo purtroppo è stato ed è uno dei vulnus. In occasione anche del 25 Aprile la destra deve fare la destra e la sinistra fa la sinistra, ripeto, non ci sarà mai memoria condivisa in ordine alla storia italiana. Tutti gli appelli alla pacificazione nazionale sono destinati a cadere nel vuoto.

Come valuta le esternazioni del presidente del Senato La Russa in merito a via Rasella?

Ecco questo è quello che la destra non deve fare, e l’ha già fatto purtroppo. La Russa ha detto in parte cose corrette, ma le ha dette male e poi ha chiesto scusa. Se la destra fa quel tipo di comunicazione deve saperla argomentare e saperla spiegare, non limitarsi a spot o a slogan. Non è una critica a La Russa, dico che quelle frasi vanno circostanziate con una solidità culturale che, purtroppo, devo dire che non ho visto, e che manca sia a destra che a sinistra. La resistenza è stata fatta anche da monarchici, liberali, cattolici, autonomi questo è un dato. E i comunisti combattevano contro il fascismo, non in nome della libertà liberale, come la intendiamo noi, ma in nome di una libertà non liberale perché il comunismo era una un’altra dittatura.

A volte sembra di assistere a una commedia delle parti, per la quale c’è la voce istituzionale della premier Meloni e poi ci sono altre voci che provano a dare rappresentanza, a parole, a opinioni meno istituzionali.  

Voci dissonanti che partecipano allo stesso coro. Oggi c’è una relazione tra la targetizzazione della comunicazione e gli effetti culturali e politici. Se diamo per buona la tesi che tutto è un gioco delle parti, capiamo che c’è una comunicazione istituzionale, poi una comunicazione mirata al consenso a destra e qui rientrano le frasi di La Russa e quelle di Lollobrigida; e dall’altra parte, specularmente, abbiamo le frasi della Schlein e di Conte. Il quadro complessivo restituisce una pluralità di opinioni che si contrastano e rafforzano i loro rispettivi target di riferimento. Questa è la regola principale della comunicazione politica, cioè siamo di fronte a narrazioni contrapposte, ma le narrazioni non sono bugie, sono le interpretazioni della realtà finalizzate al consenso.

In che modo si può riflettere questo gioco delle parti sulla giornata odierna?

O ci aspettiamo questa pluralità di narrazioni oppure tenteremo delle sintesi. Ma, ripeto, dal punto di vista storico è impossibile che ci sia una sintesi o una pacificazione nazionale vera, non furba o ipocrita, perché ripeto siamo figli di padri diversi.

L’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ci provò a superare queste divisioni, anche nazionalizzando l’utilizzo della bandiera italiana.

Devo dire che quello fu forse l’unico tentativo reale di arrivare a una sintesi nazionale che partiva anche da una pari dignità di tutte le culture, tutte le famiglie politiche italiane. E questo obiettivamente è stato un tentativo di superamento. Però adesso devo dire che siamo tornati indietro. E devo aggiungere una cosa.

Prego.

Tra il 1946-47 ci fu un embrione di vera pacificazione nazionale,  ci fu un abbraccio tra Pajetta e Togliatti del Partito comunista che fecero nei confronti dei “repubblichini di sinistra”, delusi dal fascismo regime, che andarono a sinistra nel dopoguerra e che pensavano che il Partito comunista, o la sinistra, fossero in qualche modo più vicini in quanto antiborghesi, anticapitalisti e antiamericani rispetto alla destra conservatrice, liberale, filoamericana, come fu la Democrazia cristiana e il Movimento sociale. Ecco lì, paradossalmente, Togliatti e Pajetta lavorarono per il superamento delle divisioni rispetto a quanto si è fatto in seguito. Togliatti fece l’appello ai compagni in camicia nera nel ’36, e poi promosse l’amnistia ai fascisti nel ’46. C’era più spirito di pacificazione nazionale allora che non alla fine degli anni ’60, o dopo il ’68; per non parlare poi degli anni ’70, gli anni di piombo. Oggi purtroppo ci stiamo allontanando dalla pacificazione.

Come valuta il dibattuto sulla presenza di “antifascismo” nella nostra Costituzione?

Non c’è un solo articolo che reciti che la Repubblica è fondata sull’antifascismo. Abbiamo solo la dodicesima disposizione transitoria e finale che vieta la ricostruzione del partito fascista. È stata scritta da antifascisti e si deduce che sia antifascista perché parla della sovranità del popolo, di pace, di lavoro, di rimozione delle disuguaglianze.

Quando si tocca il tema della resistenza, provando a fornire una versione diversa da quella agiografica, si viene accusati di revisionismo.

La storia non è una verità rivelata, è una verità in formazione. Il revisionismo non c’entra nulla con il negazionismo. Il revisionismo attiene allo storico che si basa su documenti, fonti e testimonianze. Quando documenti, fonti e testimonianze cambiano muta la storia. Il dubbio che viene è che alcuni partiti non sappiano cosa dire, e che l’unico collante rimasto sia l’antifascismo, a me dispiace perché la sinistra dovrebbe in qualche modo ritornare a quello che è il suo DNA laburista e socialdemocratico.

Quindi non è questa l’occasione per fare i conti con la storia.

Questa è l’occasione di fare i conti con la storia. Io direi di fare un passo in avanti: parliamo di Costituzione antitotalitaria. Comunismo, nazismo, fascismo, tutti, sono pericoli e allora forse ci sarà veramente una pacificazione nazionale.