Non ho conosciuto direttamente Mikhail Gorbaciov, appena scomparso all’età di 91 anni, ma posso dire che ho vissuto al tempo di Gorbaciov e sono stato a Mosca, per un breve soggiorno, in qualità di corrispondente, durante la famosa perestrojka e la famosa glasnost. Anzi, in particolare, a ben ricordare, era l’avvio delle scalcinate privatizzazioni. E io con soli 100 dollari avevo in realtà in tasca il suo stipendio in rubli. Pensate che scenario e che dramma sociale.

E forse prima di tanti altri, ho potuto constatare le contraddizioni che accompagnano sempre la caduta di ogni dittatura. Un mix tra mondo antico e ingenua proiezione futura. Ambizioni e suggestioni, le une contro le altre armate.
Infatti, la via della stampa libera, ormai, non era già più la vetrina del pensiero autorappresentato, dei fogli autogestiti, non più controllati dall’alto, dallo Stato, dal partito, le bandiere del pluralismo finalmente conquistato, ma lo spazio per becere pubblicità e inni fideistici all’America. Con un “Love You Coca Cola” che campeggiava, sovrapposto a un Crocifisso.

In altre parole, si intuiva perfettamente l’esito e i rischi della rivoluzione di Gorbaciov. Una civiltà ricca di storia, cultura e tradizioni, ridotta a probabile pattumiera dell’Occidente.
Stessa triste impressione vedere i ragazzi correre entusiasti verso il Mc Donald’s della Piazza Rossa, simbolo orgoglioso e glorioso del passato zarista e comunista.
E infatti, in quella occasione ho previsto quello che, prima o poi, sarebbe accaduto: la nascita di una reazione popolare in forma partitica, uguale e contraria alla medesima spinta modernizzatrice. Un movimento nazional-comunista, capace di riunire le identità monarchiche e comuniste, con riferimento alla Grande Madre Russia, contro il liberismo e un’idea violenta, unica di modernità.

Questo è stato il vulnus della rivoluzione di Gorbaciov. Ha stappato il tappo del comunismo, ha contribuito a far franare la diga di un mondo superato e fallimentare dal punto di vista sociale ed economico, ma non è riuscito a trovare una vera terza via tra socialismo e capitalismo, tra Urss e nuova Federazione composta da libere associazioni statuali, non più Stati satelliti. Superato a destra dai nostalgici del Pcus, riconvertiti in nazionalisti, e a sinistra dai neo-liberisti-radicali a lungo rappresentati da Boris Eltsin.
Non a caso il golpe fallito del 1991 è stata la spia di un mito incapacitante che lo ha mandato definitivamente in esilio in patria.

Voleva scrivere la storia del post-comunismo, ha scritto le pagine di un’occasione mancata. Il crollo dei regimi non prepara meccanicamente e automaticamente le democrazie, ma ci vuole un tempo lungo di metabolizzazione, preparazione. Il modello-Putin, può definirsi una sintesi di democrazia autoritaria, all’indietro rispetto al sogno di Gorbaciov.
Su una cosa i due leader concordano: la fine del mondo bipolare (Russia e Usa), del mondo unipolare (la mera egemonia Usa), ma un mondo multipolare con vari e diversi protagonisti, tutti responsabili del destino economico e ambientale dell’umanità.