L’unica cosa a favore degli organizzatori del Gay Pride di Roma è il piacere che oggettivamente ha fatto loro il presidente Rocca. Ossia, tanta pubblicità gratuita per consentire ed eternare il ripetersi della solita tecnica di comunicazione che si basa sul vittimismo, altrimenti detta “sindrome di Caino”: anziché vedere le proprie pecche, si guarda con invidia a quelle degli altri, si recita la parte della vittima e si uccide il cosiddetto nemico, causa del problema”.

Da lunedì fino a domenica sarà infatti, tutto un parlare (la grancassa è partita subito) di “Regione fascista”, di “omofobia di Stato”, “pregiudizi istituzionali”, “soppressione dei diritti civili, pericolo oscurantista”, “problemi della destra con i gay”, guarda caso, da quando c‘è il governo Meloni, il simbolo del male assoluto. E la Festa adesso sarà una prova di forza contro Palazzo Chigi e la Regione.

Uno scontro esattamente come da manifesto “Queeresistenza”: un inno alla resistenza e all’esistenza, concentrata su rivendicazioni note, come il matrimonio egualitario, le trascrizioni dei figli delle coppie omogenitoriali, la carriera alias e appunto, l’utero in affitto, che la neolingua del mondo Lgbtq (c’è sempre una nuova lettera che si aggiunge ogni mese; loro le etnie le valorizzano), chiama per lavarsi la coscienza “gestazione per altri”, “madre solidale, sociale”.

Ha fatto bene l’associazione Pro-vita e Famiglia a denunciare il patrocinio del Gay Pride romano. E ha fatto bene il governatore Francesco Rocca a stopparlo, revocarlo una volta concesso (come sembra, secondo valutazioni superficiali). Speriamo non ci ripensi.

Un conto è l’avallo istituzionale a manifestazioni, incontri, convegni, presentazioni di libri, iniziative sociali, intese come approvazione delle modalità di esercizio degli eventi (libertà di pensiero, diritto di manifestare pubblicamente), un conto come in questo caso, è legittimare formalmente l’invito a trasgredire le leggi, come l’utero in affitto (da noi è reato), che la maggioranza di centro-destra, tra l’altro, si appresta a considerare reato universale.

Ma qui entriamo in un aspetto critico che riguarda proprio la politica e la comunicazione della destra di governo relativa ai diritti etici o non negoziabili (la vita, l’aborto, la centralità della famiglia naturale, il no-gender nelle scuole etc); sensibilità popolare utile a prendere i voti, messa nel cassetto immediatamente dopo le vittorie elettorali. Sensibilità e posture considerate divisive, pericolose, da stoppare, da trattare col guanto di velluto, quasi fossero ingombranti, scivolose, imbarazzanti facendosi sostanzialmente dettare l’agenda culturale dalla sinistra laicista, radical, liberal.

Come si fa a concedere un patrocinio senza approfondirne i contenuti? E poi, una volta approfondito e concesso, si torna indietro? E’ un po’ come le tante frasi sulla sostituzione etnica, l’etnia stessa, la storia italiana, il revisionismo, via Rasella, buttate in pasto ai media come slogan da Anni Settanta, senza reale solidità, e poi rimangiate, restituite al mittente, chiedendo scusa.

L’errore più grande che potrebbe commettere ora la Regione sarebbe fare addirittura marcia indietro con motivazioni più o meno credibili (Rocca: “Se chiedono scusa sull’utero in affitto, ridarò il patrocinio”). Sarebbe l’ennesimo segnale di una preoccupante labilità comunicativa e di un ulteriore cedimento alle pressioni del pensiero unico.

Su temi come quelli sostenuti dal Gay Pride non c’è dialogo possibile. Va ammesso. Il mondo Lgbtq fa legittimamente le sue battaglie, ma la destra deve fare orgogliosamente e intelligentemente le sue. Sono visioni della vita, della famiglia, della società, radicalmente opposte, incompatibili.

Per questo la destra sia alle regionali, sia alle politiche, è stata votata. Segno che la maggioranza degli italiani non si riconosce nella narrazione Lgbtq. E che loro rappresentano solo una minoranza, che va rispettata, tutelata, ma che non può monopolizzare, egemonizzare la cultura e il costume di tutti, con diktat a 360 gradi, leggi comprese. Tra i cittadini ci sono famiglie, giovani, anziani che pensano altro.

In democrazia non c’è solo il diritto delle minoranze, ma anche il diritto delle maggioranze.

E se la gran parte dei cittadini del Lazio al voto ha scelto Fdi, Lega e Fi, vuol dire che non condivide le idee del Gay Pride.

E questa è una forza, non una debolezza da parte della destra. Non si tratta “di prendere ordini da Pro Vita e Famiglia”, ma di essere coerenti.

Ci sono tanti modi per affermare e difendere i diritti civili, come ha sottolineato Francesco Rocca. La destra dovrebbe capire che non bisogna subire lo schema decennale della sinistra, il bene contrapposto al male, la modernità, il progresso (laicista)a senso unico; e dovrebbe convincersi che dall’altra parte, non c’è il medioevo, ma un’altra visione della modernità. Si chiama modernità antropologica. Incentrata sulla vita, la famiglia naturale, l’identità storica, culturale e religiosa dei popoli.

E in quanto a legalità e a “professionisti della Costituzione”, andiamoci piano.

Il sindaco Gualtieri, semmai, dovrebbe porsi il problema personalmente, visto che partecipa con grande disinvoltura a iniziative e raccolte di firme di primi cittadini che contrastano con le sentenze della Corte, circa la trascrizione dei figli nati all’estero; figli comprati.

Che farà ora al Gay Pride, rappresenterà plasticamente e fisicamente un demagogico duello istituzionale per salvare il Pd in crisi di consenso e deviare, depistare i romani dalle emergenze capitoline che non ha risolto (traffico, inquinamento, degrado, immondizia, servizi)?

La Costituzione viene sempre evocata quando conviene e ignorata quando non conviene. Dov’era il mondo Lgbtq quando venivano compressi i diritti costituzionali dei cittadini, come mangiare, vivere, lavorare (senza passaporto verde)? Dove sono adesso quando i sindaci loro amici (Sala e Gualtieri) impediscono il diritto alla libera circolazione e viabilità urbana, nel nome dello “Stato etico green”, imposto da Bruxelles?

Sanno che nella Costituzione non c’è direttamente la parola “antifascismo” (nello spirito dei costituenti antifascisti c’era l’antitotalitarismo), e che invece c’è (articolo 3) la parola razza?

Se i fan e i guru sostenitori del Gay Pride vogliono uscire dalla Ztl ed entrare veramente nella società siano conseguenziali. Facciano le battaglie giuste, non le sfilate di dubbio gusto, ostentando atteggiamenti che devono essere vissuti unicamente in privato, nel rispetto di tutti. Dovere che ovviamente spetta pure agli eterosessuali. Un tempo si chiamava pubblico decoro.