Leggo che i ministri (e non solo) del governo Meloni hanno qualche problema con i loro comunicatori. Troppe dimissioni per motivi personali o familiari. E tutte quasi in contemporanea. E, particolare non da poco, le fughe riguardano i dicasteri maggiormente nell’occhio del ciclone o al centro dell’attenzione: istruzione, cultura, made in Italy.

Ci manca solo che se ne vada pure il portavoce del ministro Piantedosi (tema caldo, l’immigrazione, i morti di Cutro, le sue frasi contestate dai “professionisti dell’umanità”), e stiamo a posto.
In omaggio alla verità, tento un’analisi personale che va oltre le motivazioni ufficiali addotte dai diretti interessati, per salvare forse una qualche forma di correttezza istituzionale ed eventuali relazioni future.
E lo faccio da esperto sul campo, da spin doctor e docente di comunicazione.

La destra, rispetto alla sinistra, a livello di comunicazione (e non da oggi), paga lo scotto di un ritardo strutturale e culturale.
Il pensiero unico liberal o radical è più facile, più alla moda, più incisivo, incide in una società preparata da decenni al suo Dna: libertà laicista (vs autoritarismo-fascismo), individualismo (vs statalismo), desideri moderni che diventano diritti (vs medioevo).
Il presupposto di ogni messaggio pubblico da parte della sinistra, poggia sulla cosiddetta superiorità morale. Quella “sindrome di Voltaire”, che connota intimamente media, partiti, leader e intellettuali: la pretesa religiosa di incarnare il bene, il giusto, il perfetto, il progresso, l’etica, la cultura, l’ambiente, la democrazia, la Costituzione etc.

Comunicazione che la Schlein ha immediatamente ripreso e che sta già caratterizzando la sua narrazione aggressiva, massimalista, integralista. Facilitata dal “posizionamento politico”: stare all’opposizione. Condizione che ha favorito il 25 settembre scorso alle politiche la Meloni.
Stiamo parlando del “populismo mediatico”, della pancia, dell’emotività (sesso-sangue-soldi), incanalate in una protesta totale, nel solco della percezione per definizione vincente: l’alternanza tra paura di massa e desiderio di massa.

Ma le cose si complicano quando si va al governo (e vale per tutti, un esempio emblematico, la metamorfosi in negativo dei grillini, da rivoluzionari a trasformisti). La nuova comunicazione dal Palazzo deve essere, infatti, credibile, rassicurante, pacata, competente, figlia di una precisa visione oggettiva. Si chiama “cultura di governo”.
Ma c’è un ma. Non vuol dire smettere di fare la sinistra o la destra (le ragioni della vittoria alle urne o l’esaudire le promesse elettorali); errore che sta commettendo in qualche occasione Palazzo Chigi. Ma fare “diversamente” la sinistra e la destra, illustrando in modo differente sia le scelte, sia le marce indietro, evitando l’enfasi tipica dell’opposizione (postura che continua ad assumere Salvini), ma pure l’“effetto-gambero”, che alla lunga rischia di penalizzare e infastidire gli elettori che hanno scelto il centro-destra. E’ un tema questo, che va ben oltre le fibrillazioni interne alla maggioranza, la ricerca di visibilità della Lega o le frustrazioni del Cavaliere (le parole su Putin), che complessivamente danno un’immagine di difficile e precaria unità della coalizione.

Andiamo al punto. Se un governo è sovranista, la narrazione deve restare tale, anche quando si inchina al pragmatismo (il rapporto con Bruxelles, con gli Usa, le armi all’Ucraina, il continuare le impostazioni draghiane etc).
E’ unicamente una questione di lessico, di parole che si usano e argomenti che si evidenziano.
Se non si risolve tale impasse, il risultato sarà inevitabilmente una comunicazione blanda, annacquata, eternamente giocata sulla difensiva, giustificatoria; imprigionata e ostaggio di una sindrome che per decenni ha afflitto la destra: “La sindrome da legittimazione”. Un complesso di inferiorità culturale, che la spinge psicologicamente a essere subalterna alla sinistra.

In sintesi, se la comunicazione conservatrice ha funzionato all’opposizione, non sta ancora decollando come comunicazione conservatrice di governo.
Bisogna rimediare subito. Altrimenti non basteranno continue dimissioni e continue assunzioni di professionisti, a cui, è un dato ricorrente, viene data poca libertà di movimento.
La paura che attanaglia la destra (declinazione della “sindrome da legittimazione”), produce l’effetto di paralizzare qualsiasi strategia coraggiosa di comunicazione. E discutendo a non finire di aggettivi e sostantivi, da aggiungere e da togliere, si perde la velocità della storia, l’efficacia di un modello politico che invece, potrebbe dare tanto all’Italia.