Giorgia Meloni, anche a Cernobbio (Forum Ambrosetti), ha confermato la sua recente strategia. Quella di una leader conservatrice, moderata, credibile, affidabile, esattamente come da slogan elettorale: “Pronti a risollevare l’Italia”, concetto declinato a 360 gradi (pronti a difendere l’ambiente, la casa, a dare sostegno alle famiglie, a dare sicurezza etc).

Il suo discorso è stato scevro da qualsiasi accenno e accento populista, da piazza, da pancia; lo ha indirizzato alla ragione, alla testa degli imprenditori, per convincerli che lei ha i titoli per governare, accettando le regole internazionali del mercato.
Non si è sbilanciata troppo, ha toccato i temi sensibili per quel mondo, senza cadere nella trappola delle facili promesse e della sterile demagogia.

Non è riuscita, però, in quell’operazione che riuscì anni fa a Berlusconi, di conciliare le parole-chiave dell’impresa, col cuore, il sentiment dei capitani d’azienda, falcidiati dalla crisi economica, energetica e dalle tasse.
E la ragione è semplice: è ossessionata dal dimostrare che può fare il premier, auto-sdoganandosi, per ovviare a quella “sindrome da legittimazione” che perseguita la destra da decenni. Se avesse spinto sull’enfasi sarebbe caduta nella retorica ghettizzante del passato.

La leader di Fdi ha parlato di centro-destra: “Da noi ci sono differenze e sfumature, ma sulla visione siamo d’accordo, come sul principio di abbassare le tasse. In questa fase bisogna essere molto prudenti e seri nelle promesse, poi nel programma ci sono cose molto chiare che per me fanno fede in termini di visione e di perimetro”.
Tradotto: non mi espongo, perché la crisi è seria e l’emergenza rischia di azzoppare chiunque vinca alle elezioni.

L’unico affondo degno del nome è stato sul Pnnr: “E’ stato scritto prima della crisi del prezzo dell’energia ed è previsto che possa essere rivisto sulla base dello scenario mutato. Ciò non vuol dire stravolgerlo, ma non può neanche essere considerato un’eresia”.
Insomma, una destra pensante e inclusiva. Bisognerà vedere se ha trovato il consenso degli imprenditori e dei salotti che contano.

Al mainstream, invece, non basta, né basterà mai. Se la Meloni va usata per colpire Salvini, il suo essere tosta e identitaria va bene; ma una volta affondato il Capitano, lei è destinata a tornare “fascista”, come da campagna diffamatoria ordita alle ultime amministrative da Fanpage e Piazza Pulita. Fascista e, ovviamente, non in grado di governare. Adesso che invece, si è posizionata al centro e avrebbe i numeri per governare, non va bene ugualmente.

Per Stefano Feltri, direttore de Il Domani, quello della Meloni è un mero bluff: “L’arrivo al più stanco dei rituali estivi dell’establishment italiano, il meeting di Cernobbio sul lago di Como, sancisce il tentativo della leader di Fratelli d’Italia di conquistare il potere per cooptazione, invece che con una scalata ostile. Meloni vuole far credere che sarà più draghiana di Draghi. Resta da vedere fino a quando durerà questo inganno e se reggerà almeno fino al 25 settembre”.
E ancora: “Giorgia Meloni sta diventando Luigi Di Maio senza neppure attraversare la fase dei proclami dal balcone o delle richieste di impeachment per il presidente della Repubblica”.
Una bocciatura senza appello, sintomo di paura da parte della sinistra politica e mediatica.

Sulla Meloni “draghiana”, infatti, sperano in molti: al di là dell’esito delle urne, sia per una eventuale maggioranza di centro-destra assente in Senato, sia per gli effetti dell’emergenza economica ed energetica, un governo draghiano anche di centro-destra potrebbe essere l’ultimo appiglio per non perdere pur perdendo, per Letta e compagni.