Fino a oggi, giorno dei funerali di Stato, assisteremo ancora una volta alla santificazione mediatica di Silvio Berlusconi, un pezzo comunque della storia politica italiana. Della nostra storia.

Una morte che ha già fatto orfani sia a destra che a sinistra. A destra, perché come scontato, la sua scomparsa farà mancare quel collante indispensabile a Fi per andare avanti. E se si indebolisce il partito rischia grosso in prospettiva pure il centro-destra di governo. E questo la Meloni e Salvini lo sanno benissimo (Renzi infatti, si sta leccando i baffi).
A sinistra invece, perché mancherà il principale argomento per demonizzare un mondo, idee e visioni incompatibili. Anche se l’oggetto della macchina del fango si è spostato da parecchio prima sul Capitano, adesso sulla premier.

A giudicare l’odio che continua sui social, da parte di chi non rispetta nemmeno un lutto privato e pubblico, diametralmente opposto alla “mistica tv”, generalmente positiva, se conferma l’incapacità di perdono dei moralisti di professione, ribadisce almeno una coerenza giustizialista, giacobina, Dna del Pd e dei grillini (modello-Travaglio).
Perché il Cavaliere divide perfino da morto? Semplice. Come uomo ha rappresentato tutto ciò che infastidisce, mette in crisi antropologicamente, psicologicamente e culturalmente la sinistra politica, intellettuale, giornalistica e non solo.

Un vincente, un “bandito simpatico”, ottimista, “fai da te”, carismatico (proiezione dell’italiano medio), che ha rifiutato e combattuto i poteri forti del capitalismo assistito degli “amici degli amici”; che ce l’ha fatta, che ha modernizzato il paese, sottraendolo alla pedagogia catto-comunista della prima Repubblica, che considerava e considera (lo pensano i suoi figli e nipoti) il popolo una massa beota da educare ed eterodirigere. Ha introdotto il populismo, nemico ideologico del progressismo e del moderatismo ipocrita. Lui parlava direttamente alla gente semplificando il linguaggio politico. E’ stato l’incarnazione vivente del modello individualista del singolo di successo che diventa perfino ricco (“lo sterco del Demonio”).

Apriti cielo. Che dramma per i “rosiconi”, i mediocri, gli assistiti, gli invidiosi sociali, molla su cui si basa da sempre la lotta di classe. E che non hanno altri argomenti che atteggiarsi a “professionisti del bene”, delle regole, dell’etica, della Costituzione, che ovviamente Arcore per loro violava.

Un conto però, è l’uomo Berlusconi, un conto sono il berlusconismo politico e il berlusconismo culturale.
Il berlusconismo politico ha costruito gli schieramenti che conosciamo, sdoganato (e deviato) una destra che con Tangentopoli si era sdoganata da sola, ha avviato la democrazia dell’alternanza (non più “centro vs sinistra”, ma “centro-destra vs centro-sinistra”), creando le condizioni per un nuovo bipolarismo, muscolare, ideologico che si è sovrapposto al confronto dottrinale classico “liberali-socialisti”, “liberisti-statalisti”, “conservatori-progressisti”: “Berlusconiani vs antiberlusconiani”. Scontro che ha alimentato vicendevolmente i poli durante l’intera seconda Repubblica.

Il berlusconismo culturale, dal canto suo, merita un discorso (negativo) a parte. Silvio ha prima “berlusconizzato” gli italiani con le sue tv (sesso-sangue-soldi); poi ha raccolto politicamente ciò che aveva seminato.
La “società della pulsioni dell’io”, dell’individualismo integrale, dell’“ad-personam” a 360 gradi (economia, tasse, giustizia, vita), dell’egoismo sociale, il culto del consumo, del successo a qualsiasi costo, dell’arricchimento come mito, della competizione senza Welfare, del liberismo inteso come primato dell’economia, l’americanizzazione globale, le privatizzazioni, la mancanza di comunità, di senso dello Stato, decollano con lui.

Nonostante le dichiarazioni ufficiali a nome di Fi, non è riuscito mai a conciliare veramente liberalismo, cristianesimo, socialità, patriottismo (che vuol dire la prima forma di solidarietà nazionale, concetto antagonista all’individualismo berlusconiano). Meri slogan elettorali che non si sono mai declinati nelle scelte concrete, quando il Cavaliere ha avuto modo di governare. Magistratura e lobby economiche europee permettendo.
Come dimenticare l’avviso di garanzia che ha azzoppato nel 1994 il primo suo esecutivo e il ricatto dello spread che ha preparato l’avvento dei tecnici, risorsa di fatto della sinistra per far commissariare l’Italia e tornare al potere senza vincere democraticamente le elezioni?