Siamo in piena polarizzazione e radicalizzazione dei temi. Un bipolarismo cruento, social, di pancia, che oltrepassa di gran lunga i programmi degli schieramenti e che il 25 settembre obbligherà gli elettori a fare una scelta di campo decisa e definitiva.

Si è ironizzato molto sul “frontismo commerciale” di Letta: o di qua o di là (si pensi alla scelta tra guanciale e pancetta). Invece, ha fatto bene, per due ragioni: da un lato, ricompatta il suo polo, evitando di ricorrere sempre al fantasma dell’antifascismo, che stavolta, potrebbe non funzionare: dalla parte di Giorgia Meloni militano troppi elementi: è giovane, si è affrancata dal passato in modo intelligente già anni fa, è posta in Europa a pieno titolo dentro la casa conservatrice e soprattutto, in quanto leader donna, scippa fisicamente alla sinistra il primato del “femminismo”. Dall’altro, Letta ci ha richiamato all’unica realtà vera di questa politica: destra e sinistra sono espressione di due visioni incompatibili di società. Inutile tentare sintesi, mediazioni.

Sul piano dei valori (Dio-patria-Famiglia vs individualismo e radicalismo di massa), patriottismo italiano ed europeo vs mondialismo; migrazione di qualità vs migrazione indiscriminata, sul piano dei diritti (modernità laicista vs modernità antropologica, centralità della vita), dell’economia (economica sociale di mercato vs concezione liberal e assistenziale), del lavoro (paternalismo statale vs lavoro autonomo), del fisco (patrimoniale vs incentivi alle aziende), delle istituzioni (presidenzialismo vs parlamentarismo). E questo solo per fermarsi sommariamente a qualche punto.
Quindi, il leader del Pd va elogiato per aver enfatizzato, nella sua campagna elettorale tali distanze (pur se caricaturizzate, macchiettizzate, rese demagogiche, molte ridicole): “Con Putin, contro Putin”, “Con l’Europa contro l’Europa”, “O pace o aria condizionata”, “Con Draghi o contro Draghi, “Con i diritti contro le discriminazioni”, “O combustibili fossili o energie rinnovabili”.

Il tutto concluso con la frase “Scegli”. Segno della semplificazione irreversibile della comunicazione. I partiti oggi si definiscono con un verbo, un sostantivo, un aggettivo: Cambiamo, Azione. Gli stessi slogan degli altri competitor di Letta, infatti, hanno seguìto la scia.

La Lega ha risposto al duello mediatico con un altro tipo di scelta: “Italia in piedi” (appello al voto leghista) oppure “In ginocchio o ti sparo”, tanto per ricordare un fatto di cronaca che ha riguardato l’ex capo di gabinetto di Gualtieri.
Efficacia della polemica a parte, Salvini al momento, ha perso un’occasione per declinare meglio il suo “Credo”, viatico valoriale e programmatico. Nel corso di questa campagna elettorale potrebbe rispondere colpo su colpo a Letta: su Putin, l’economia, i migranti, la sicurezza etc.
Lo ha fatto per ora, ma con slogan separati, non organici.

Se votare Conte vuol dire stare “dalla parte giusta” (medesima comunicazione di Bersani, da capo del Pd, o votare Calenda vuol dire “Italia sul serio”, un mix di sovranismo ragionevole dentro il politicamente corretto), dal nostro punto di vista la campagna elettorale della Meloni potrebbe presentare qualche criticità. Quel “pronti” a risollevare l’Italia, a proteggere i lavoratori autonomi, a ridare sicurezza alle città etc, conferma un’impreparazione pregressa, un esame ancora da dover sostenere, una smentita che è una notizia data due volte, una rassicurazione eccessiva che sa di giustificazione.

Il motivo? Dietro questa strategia di rassicurazione e di auto-sdoganamento c’è ancora una sorta di “sindrome da legittimazione”, un “complesso da impresentabile”, che attanaglia da decenni la destra e che la porta ciclicamente, specialmente prima di occasioni elettorali vitali, dove appare trionfante, a flirtare con i moderati che starebbero al centro (quando invece, al centro, ci possono stare gli indecisi, i delusi, gli arrabbiati), col risultato di annacquare, frenare sulle idee, per accontentare tutti, i salotti buoni, il mainstream, i poteri forti internazionali, il mercato, la borsa.
Ad esempio, la proposta di poter avere nella squadra ministeriale Cingolani ha fatto sembrare Fdi il lato destro del pensiero unico. Non deve succedere.