Nel cuore della Chiesa soffia un vento antico che sa di novità. Con l’elezione di papa Leone XIV si è aperta una stagione che molti osservatori faticano a definire secondo le consuete categorie di “progressismo” o “conservatorismo”. Ne parliamo con il Professor Fabio Torriero, docente di Media, Società e Politica alla Lumsa e direttore del giornale “Lo Speciale”.

Professore, partiamo dal nome scelto dal nuovo pontefice: Leone XIV. Un richia- mo al passato? Una scelta politica?
Assolutamente sì. È una scelta che defi- nirei mirata, tutt’altro che casuale. Il nuo- vo Papa aveva molte possibilità: avrebbe potuto scegliere Francesco II, per segnare una continuità con papa Bergoglio, oppure Benedetto XVII o persino Giovanni Pao- lo III, ognuno con una valenza simbolica ben precisa. Invece, ha scelto Leone XIV, un nome che si ricollega esplicitamente alla tradizione della dottrina sociale della Chiesa, inaugurata da Leone XIII con l’enciclica Rerum Novarum. Questo ci dice molto del suo orientamento: si tratta di un ritorno, direi consapevole, alla terza via storica della Chiesa, alternativa sia al capitalismo sfrenato sia al marxismo ideologico. È una linea che da Leone XIII arriva fino a Giovanni Paolo II e alla Centesimus Annus: un percorso coerente che colloca la Chiesa come interlocutore critico rispetto tanto all’ultraliberismo quanto ai modelli statalisti assistenzialisti.
In questo senso, possiamo aspettarci implicazioni anche sul piano politico e spirituale?
Sicuramente. Se intendiamo “politico” nel senso nobile del termine – quello caro anche alla Chiesa, che ha sempre indicato la politica come forma alta di carità – allora sì. Leone XIV sarà una voce autorevole per il bene comune, la giustizia sociale, la solidarietà. E sarà probabilmente critico sia nei confronti del liberismo esasperato, alla Trump per intenderci, sia verso le derive stataliste e assistenzialiste. Dal punto di vista spirituale, invece, si nota già un’impostazione teologicamente più solida rispetto a papa Francesco. Fin dal primo discorso, ha messo Cristo al centro, non sé stesso. È un pontificato cristo-centrico, con una forte ortodossia dottrinale. Non cede a semplificazioni comunicative o a espressioni ambigue. In questo senso, pos- siamo aspettarci un pontificato all’insegna dell’ortodossia e della chiarezza, capace però di parlare con autorevolezza anche al mondo laico.
Una solidità che potrebbe anche riflettere la sua formazione agostiniana?
Senza dubbio. Il suo retroterra agostiniano gli conferisce lucidità analitica, visione chiara dei problemi, ma anche profondità spirituale. L’agostinismo propone una visione del mondo disincantata ma non cinica, consapevole della fragilità umana ma fondata sulla grazia. In questo senso, Leone XIV si distacca da quella che definirei una “schizofrenia comunicativa” del pontificato di Francesco: da un lato aperture pastorali percepite come progressiste, dall’altro un’immutata dottrina che però non sempre è stata comunicata con chiarezza.
E sulla secolarizzazione e la frammentazione dei rapporti umani? Che risposta può offrire la Chiesa di oggi?
La Chiesa deve ritrovare il coraggio educativo. Non può ridursi a un’agenzia di servizi sociali o a un luogo d’ascolto senza verità. Deve tornare a dire con chiarezza cosa è bene e cosa è male. Con amore, certo – “non c’è verità senza amore”, diceva Edith Stein – ma anche con fermezza. Il rischio, che stiamo ancora scontando, è che il pontificato di Francesco abbia insistito molto sull’amore, ma trascurando la verità. Se tutti ti applaudono, perfino chi è lontano
dalla Chiesa, forse è il segnale che il messaggio è diventato troppo accomodante.
Il nuovo Pontefice ha anche una sfida aperta con i giovani. Il consenso tra le nuove generazioni sembra calato.
Esatto. Oggi vediamo fenomeni come il “selfie col Papa” che non si traducono però in appartenenza reale alla vita della Chiesa, specie se consideriamo che circa il 70% degli italiani si definisce cristiano cattolico, il 50% dei quali aderisce al cosiddetto “cattolicesimo fai da te”, cioè non è praticante, non va a messa, non partecipa ai sacramenti, riducendo la religione a qualcosa di intimistico e personalizzato. I giovani hanno bisogno di messaggi forti – e per forti non intendo autoritari, ma chiari, netti, carichi di senso. Se la Chiesa si trasforma in una ONLUS, perde la sua funzione profonda. Non è un’associazione etica: è una realtà spirituale, sacramentale, che parla al cuore e alla mente.
La Chiesa del passato aveva anche un ruolo formativo e politico forte. C’è possibilità di recuperare quella dimensione oggi?
La Chiesa, nel passato, ha contribuito a costruire una classe dirigente, anche attra- verso la Democrazia Cristiana. Ma è vero anche il contrario: negli ultimi decenni, una parte del mondo cattolico ha abdicato culturalmente, lasciando troppo spazio a visioni secolarizzate e laiciste. Credo che Leone XIV, proprio per la sua preparazione e capacità comunicativa, possa rilanciare una presenza cristiana più incisiva nel dibattito pubblico.
Ultima domanda, Professore: crede che Leone XIV potrà avere un ruolo nelle attuali crisi geopolitiche, dalla guerra in Ucraina al conflitto in Medio Oriente?
Spero di sì. La Chiesa, per incidere, deve recuperare credibilità. Ricordiamo papa
Giovanni XXIII e il suo intervento durante la crisi di Cuba: parole forti, ascoltate. Oggi siamo in un mondo disordinato, dove prevale la legge del più forte. papa Francesco ha fatto molti appelli, ma spesso sono rimasti inascoltati. Leone XIV sembra avere, almeno dalle prime battute, maggiore autorevolezza. Se saprà dare alla Chiesa una posizione sta- bile, coerente e distinta, allora potrà avere un ruolo importante anche nei processi di pace. La storia ci insegna che la Chiesa, quando è sé stessa, può essere un interlocutore credi- bile anche per i potenti della terra.
