Come avevamo previsto, l’irruzione storica della Meloni al congresso della Cgil è stato un successo, sia per lei che per Landini.

La premier ha dimostrato coraggio, sfrontatezza, grinta, come da suo consolidato Dna. Quel piglio apprezzato anche da chi non la vota e che magari la detesta politicamente, ideologicamente e antropologicamente.
Dal canto suo, il leader sindacale, che l’ha fermamente voluta (non va dimenticato), ha avuto un colpo di genio, che se non gli ha portato un delegato in più per la sua riconferma, sicuramente lo ha rimesso al centro dell’attenzione mediatica e del protagonismo sindacale.

In fondo, obbligare la sua base ad ascoltare la “nemica”, assicurandosi una certamente pianificata piccola fisiologica protesta, da parte di alcune decine di insofferenti targati Fiom (i suoi ex-metalmeccanici) che hanno protestato, cantato “Bella Ciao”, lasciando la sala, ha significato per Landini il massimo di incassi e il minimo di ferite.

Del resto, un capo di governo di destra, distante anni luce dalla Cgil e un’organizzazione di lavoratori che hanno acclamato come icona la Schlein, cos’altro potevano dirsi? E allora, quale la ragione dell’invito? Semplice correttezza istituzionale, mera cultura di governo, precedente finalizzato alla pacificazione nazionale? Non crediamo. La Cgil già è pienamente entrata nello spirito voluto dalla nuova segretaria dem: antifascismo, reddito di cittadinanza, diritti civili, no alla riforma fiscale del centro-destra.

Argomenti che la Meloni, invece, ha trattato diffusamente nel suo intervento, prendendosi pure un paio di applausi. Ma analizziamo alcuni passaggi. I più significativi. Tutti parto di collaudate tecniche di comunicazione.

DIPLOMAZIA “OBBLIGATA”. Siamo all’inizio. Colpi di fioretto strategici. Landini: “Ciao presidente, grazie di essere qui”; Meloni: “Complimenti a te per la tempra di polmoni e corde vocali in due ore di discorso, io non sarei stata in grado”. Tutti e due bravi.

RISPOSTA PACATA ALLE PROTESTE.In piena contestazione nei suoi confronti, dopo aver salutato un giornalista che conosce, con furba familiarità (“ciao compagno”), a buon intenditore poche parole (piccola polemica col mainstream), la Meloni ha alternato ironia e autobiografia destrista. A proposito della scritta modello-Sanremo “pensati sgradita”: “Non sapevo che la Ferragni fosse metalmeccanica”. E sui fischi: “Io vengo fischiata da quando avevo 16anni, sono cavaliere al merito”.

APPLAUSOMETRO E CONFERMA DEI MESSAGGI DEL GOVERNO.Secondo applauso (liberatorio dei delegati?), alla fine del suo intervento, e primo applauso, quando ha citato l’assalto alla sede della Cgil (“Inaccettabile attacco di estrema destra alla sede”), e le azioni dei movimenti anarchici “che si rifanno alle Br” (come per dire, sul 41bis non molliamo).

I NO DEL CENTRO-DESTRA.No al reddito di cittadinanza e al salario minimo. Sul primo tema, la premier ha sciorinato ricette più da destra liberale che sociale: “Soltanto creando lavoro si batte la povertà e si riducono le disuguaglianze”. Tradotto, sgravi fiscali e soldi alle aziende per far star meglio i lavoratori. Niente sussidi e diritti quindi, sganciati al profitto degli imprenditori. Pd e grillini si mettano il cuore in pace.

TENTATIVO DI ABBRACCIO. Due tecniche usate, una generale, l’altra specifica. Quella generale è l’ascolto: “Portate le vostre istanze, anche in contrasto con le mie, ma le ascolterò”. Quella specifica, riguarda sia il salario minimo (“Non è la strada giusta, scavalca il sindacato. Serve invece, estendere la contrattazione collettiva”), sia gli ammortizzatori: “Lavoriamo insieme a un sistema universale sia per il lavoratore dipendente, sia autonomo, sia atipico”.

DOPO IL BACIO IL COLPO D’ACCETTA. “Non va costruita una cittadella di garantiti impermeabile a chi rimane fuori”. Un dardo non da poco. E’ noto che il maggior numero di tessere la Cgil ce l’ha tra i dipendenti pubblici e pensionati. Segno di un solco sempre più evidente tra garantiti e non garantiti (fuori dal Welfare).

VALORI DI DESTRA.Parlare di merito (“è l’unico vero ascensore sociale”), come ha fatto la Meloni, nella patria dell’uguaglianza di diritti anche a costo di livellare tutto e tutti, è stato un vero e proprio colpo di teatro (per rassicurare i suoi elettori e non solo). E ancora: il presidenzialismo, visto dalla base della Cgil come autoritarismo. Lo ha esaltato pure a Rimini.

TIMIDI CONSENSI. Qualche cenno di approvazione quando ha affrontato l’esigenza di implementare le politiche per la famiglia: “Una grande sfida culturale che ci aspetta è affrontare la glaciazione demografica, partendo dal sostegno al lavoro femminile, agli incentivi per chi assume donne e neo-mamme, con strumenti di conciliazione casa-lavoro, e una tassazione che torni a tener conto della composizione del nucleo familiare”. E’ la riproposizione del quoziente familiare di ciellina memoria, contro cui la sinistra si è sempre scagliata.

Dubbio finale: ma la Schlein andrebbe mai al congresso dell’Ugl?