Mangiare, scavalcare la pedina: questo è lo sport della campagna elettorale. Insieme alla dieta ostentata o negata (un altro mangiare) dai diretti interessati.
La Meloni e Salvini, ad esempio, hanno detto che per evitare di prendere troppi chili o cercare di perdere quelli che inquadrature televisive impietose ancora evidenziano (vecchi filmati?), la loro scelta anti-calorie è mangiare tanto pesce e tanta verdura, eliminando carboidrati e dolci. Tutto facile, meno durante il tour siciliano, costretti entrambi con la violenza a degustare le note prelibatezze isolane.
Berlusconi ormai è un vegetariano convinto e al mattino preferisce nuotare e massaggi. Conte, fortunato, non ha bisogno di stare a dieta (fa molto sport, in primis gioca a calcetto).
Letta, al di là delle apparenze, sta dimagrendo; mentre Calenda non rinuncia a niente e si ama così, pingue e dipendente dal fumo.
Ma mangiare la pedina è un’altra cosa: stiamo parlando della sostituzione, dell’occupazione del terreno altrui, da parte di tutti i partiti. Col risultato di assistere ad un incrocio tra il divertente e il grottesco.
La Meloni, si è spostata verso il centro, seguendo una strategia ben precisa: rassicurare il mondo, tranquillizzare i mercati e i poteri forti, dimostrare che è affidabile, presentabile, pronta a governare con la sua classe dirigente che ha il nucleo storico in quel di Colle Oppio.
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E’ il solito posizionamento elettorale di una destra che per prima non crede totalmente nel suo Dna. E che ritenendo di dover sostenere degli esami continui, con i maestri e giudici di sinistra, si ammorbidisce per conquistare un luogo geografico, il centro, che secondo un teorema, duro a morire, coincide con i delusi, gli indecisi, che sulla carta rappresenterebbero l’ago della bilancia, fondamentali per vincere alle urne. Una storia trita e ritrita smentita dai fatti e dai numeri.
Calenda e Renzi, venuti da sinistra, ormai hanno occupato la medesima zona “meloniana”. Non gradiscono la parola terzo polo, ma in pratica sono questo, pur avendo contribuito non poco, alle scorse amministrative, a smottare il bipolarismo, basato, secondo i due, su uno schema superato.
Domanda: i grillini quale altro terzo polo rappresentano? E il nutrito e composito “fronte anti-Draghi” (da Vita a Italexit, da Italia sovrana e popolare ad Alternativa per l’Italia), dove si colloca?
Letta, invece, dal canto suo, incarnando fisicamente un centro catto-progressista ha rioccupato tecnicamente l’area-sinistra, alleandosi con Fratoianni e Bonelli, e varando una campagna di comunicazione frontale e frontista, spaccando virtualmente il paese in due mega-fazioni, il bene e il male (naturalmente la destra). Così la scelta pro-Pd dei cittadini secondo lui, è più facile e scontata.
Conte è un altro che gioca a Dama. Dopo mesi di ammiccamenti coi i dem, di fronte ad una campagna dove il suo imperativo categorico è recuperare almeno in parte il consenso delle scorse politiche, col peso di aver mandato a casa Draghi e delle immense scissioni subite, ha mangiato la pedina-Pd e si è messo concettualmente al posto suo: in ogni omelia pubblica afferma e ricorda che la vera sinistra, il vero partito progressista è il suo.
Dulcis in fundo Berlusconi, che vorrebbe giocare la medesima partita del 1994. Peccato che il campo da gioco, con relative pedine, sia occupato da nuovi, troppi giocatori.