Dopo la comunicazione emotiva, ad alto tasso retorico, di queste ore, circa la morte di Silvio Berlusconi, che attraverserà trasversalmente le istituzioni, la stampa, i “migliori opinionisti”, i politici che contano e gli interessati a gestirne l’immagine fino al massimo spendibile (i dirigenti di Fi), si passerà alle analisi obiettive sulla sua persona, il suo ruolo, il suo messaggio, la sua eredità.

E forse assisteremo ancora una volta alla scenetta del “finto rispetto”, ad opera di chi (in primis, la sinistra partitica e giudiziaria), lo ha massacrato umanamente in vita, andando ben oltre la legittima contrapposizione politica.
Troppo facile dimenticare la persecuzione morale, ideologica, antropologica che ha subìto in tanti decenni di protagonismo che, nel bene o nel male, ha portato alla costruzione del moderno bipolarismo, del centro-destra di governo, della democrazia dell’alternanza, di tanti posti di lavoro, tentando addirittura strade energetiche alternative (con Putin e Gheddafi) rispetto al dominio Usa. Rafforzando, tra l’altro, quel centro popolare italiano, che dopo la fine della Dc, a causa di Mani Pulite, rischiava di sparire.

Ma non bisogna nemmeno dimenticare il “marketing azzurro”, il suo partito “leggero”, nato sul nulla e decollato alla grande, grazie ai comunicatori, gli esperti di sondaggi, di flussi elettorali, gli spin doctor; marketing quasi cinico, che ha monetizzato la sua figura sfruttando fino all’ultimo un uomo malato che, come era evidente, stava inesorabilmente consumando il suo percorso terreno.

Invece no, fino all’ultimo, i suoi collaboratori, i tanti delfini, il partito, la sua corte, i dirigenti della prima e ultima ora, lo hanno usato (e lui, vitalistico oltre ogni limite, si è prestato), per incollare i pezzi di un soggetto politico, di un partito-persona alla frutta, garantendosi ancora un altro giro di giostra, un’ultima occupazione di poltrone.

L’hanno spremuto per il recente raduno di Fi, costringendolo alla sceneggiata del video dall’ospedale e all’appello prima del recente voto amministrativo, indifferenti allo sforzo che stava facendo, senza voce, senza respiro, con una postura facciale diventata ormai corpo mistico della sofferenza, ma pure simbolo fisico dell’estremo sacrificio ideale per il suo popolo, la sua comunità, gli italiani che hanno creduto in lui, che si sono fatti berlusconizzare (l’autobiografia della nazione), o comunque, legati a una stagione ben precisa, pur avendolo abbandonato elettoralmente (un partito a vocazione maggioritaria ridotto al 7% dei consensi).

Una cosa è certa, Berlusconi è stato cannibalizzato da quella stessa comunicazione che ha creato. Incentrata sull’apparenza, il successo, il consumo, il fai da te, l’individualismo, il selfie, l’americanizzazione. Lui doveva sempre vincere, anche quando non vinceva più (si pensi alla conquista del trono del centro-destra da parte di Salvini e poi della Meloni).

Adesso sicuramente ci sarà un effetto postumo legato alla sua scomparsa. Per qualche tempo (in vista delle prossime europee e regionali) i maggiorenti azzurri inviteranno i cittadini a mobilitarsi “nel nome del Cavaliere” (come accadde per Berlinguer). Ma durerà poco. Fi è destinata a chiudere bottega. Il re non ha lasciato eredi veri. E il suo regno finirà con lui. Riteniamo assai difficile una reggenza Tajani o Marta Fascina. Piuttosto una resa dei conti tra anime diverse. Quasi certamente il mondo azzurro si spezzerà in due tronconi, uno governista e uno laicista verso il Terzo Polo.
E di Silvio il federatore resterà il ricordo.