Lanciato “l’allarme-odio” dalla premier Giorgia Meloni, assistiamo ogni giorno in tv, sui giornali e non solo, a una passerella di luoghi comuni e faziosità banali, che anche nel tentativo di analizzare il problema e magari attenuarlo, migliorando la dialettica democratica, sta confermando purtroppo solo la consistenza e la solidità del male oscuro collettivo.
L’abbiamo già sottolineato, e lo scrivo da docente di Media, società digitale e democrazia. Ci sono un aspetto tecnico e uno politico da valutare.
Il primo dato è che il “nero”, le pulsioni più elementari e violente dell’uomo, sono sempre state una bomba potenziale, latente, pronta ad esplodere quando le condizioni storiche (economiche, sociali etc) sono “favorevoli” e quando riscendono in campo i cattivi maestri.
Noi abbiamo attraversato la guerra civile, la guerra fredda e le dicotomie ideologiche sono state le bandiere troppo facili con cui la politica ha saputo arruolare i rispettivi eserciti, consolidando i propri target, col mantra del consenso. Oltre alle più che legittime motivazioni ideali, hanno preso gradualmente il sopravvento le ragioni elettorali: “destra contro sinistra”, “fascismo contro antifascismo”, “comunismo contro anticomunismo”, “Russi contro Usa”, “Occidente libero contro statalismo ateo” etc.
Chi ha vissuto gli anni di piombo sa bene come la violenza verbale e ideologica (“uccidere un fascista non è reato”), col clima ad hoc (preparato a tavolino o subìto), possano degenerare nella violenza fisica di piazza, a suon di morti.
Poi, successivamente le dicotomie si sono modificate nella forma, non nella sostanza: “anti-Berlusconi, pro-Berlusconi”, “anti-Salvini-pro Salvini”, “anti-Meloni pro-Meloni”. E le opposte fazioni sono diventate opposte tifoserie. Pochi valori, molta demagogia e tanta rabbia virtuale, mediatica e politica.
Ma l’odio anni Settanta non si è solo trasformato; si è perfettamente rigenerato nei social. E così abbiamo avuto quello che si chiama il “populismo mediatico”, un vulnus globale, che ha prodotto inevitabilmente l’odierno “populismo politico”. Con regole fisse: la semplificazione del messaggio, l’asse “amico-nemico”, l’asse “bene-male”.
I primi grillini, con la loro rivoluzione del 2009, sono stati il punto di ripartenza di una nuova lotta di classe individuale (l’invidia sociale, l’uno vale uno), mascherata da rivoluzione moralizzatrice e purificatrice. La lotta contro la casta corrotta, il famoso Vaffa-day è stato il nuovo inizio dell’odio generico, indiscriminato, per categorie ritenute nemiche.
E oggi, paghiamo un codice obbligato che riguarda sia la destra, sia la sinistra: la violenza della parola e dei gesti, nei salotti tv, in parlamento ovviamente quando c’è la diretta, i titoli dei giornali da continuo derby senza approfondimenti e complessità, la dicono lunga su una devianza, una stortura quasi senza ritorno.
E qui arriviamo all’elemento politico.
La destra finora, è stata afflitta da un vulnus interiore, fisiologico, che continua ad affliggerla: la “sindrome da legittimazione” che nasce da un oggettivo complesso di inferiorità. Il chiedere di fatto i voti alla sinistra, l’approvazione e quella legittimazione che la sinistra non le darà mai. E tale complesso, si traduce spesso nella “sindrome di Stoccolma”: oscillare tra l’aggrapparsi al pensiero di moda (facendo il lato destro del pensiero unico), per farsi accettare dal mainstream progressista, subendone il fascino, o il regredire in posizioni da volantino ideologico. Tutto per merito di una classe politica, mal selezionata, quasi mai all’altezza del compito che il voto popolare le assegna ciclicamente dal 1994 (adesso oltre la Meloni, in pochi possono dire di aver maturato una vera cultura istituzionale di governo).
La sinistra, dal canto suo, ha il problema inverso: “la sindrome di Voltaire”. Ossia, credere di essere l’incarnazione del bene, della morale, dell’etica, della democrazia, della cultura, dell’ambiente, dei diritti, del progresso. Ovviamente, secondo questo schema, se la sinistra è il bene, la destra è il male, e non è degna di essere accettata e rispettata. In questo modo diventa pura utopia, se non retorica astratta, rispondere agli appelli del capo dello Stato circa i valori condivisi, la memoria comune, il patriottismo costituzionale etc.
La sinistra, nelle sue varie declinazioni, intellettuali, ideologiche, politiche e giuridiche, non ha mai metabolizzato quel passaggio basico tra il ruolo di “custode della democrazia” (anticamera del “professionismo dell’umanità”), e il giacobinismo. Quando si impone “il paradiso sulla terra” a marce obbligate (la forzatura statuale e politica del bene), sorgono le peggiori dittature (ad esempio, il comunismo). E sorgono i moderni “Stati etici” (laicisti, vaccinisti, green, militaristi); naturalmente sempre a fin di bene (ricordiamo, il male non è il contrario del bene, ma un bene deviato, rovesciato).
Non è un caso che storicamente ogni rivoluzione dopo una fase moderata (in Francia con i girondini, il periodo che va dal 1789 al 1791, e in Russia, con i governi dei menscevichi), si è arrivati alla fase estrema, disumana, il Terrore (Robespierre che ha sterminato i vandeani nel nome della triade “Liberté-Egalité-Fraternité”; e il duo Lenin-Stalin che ha massacrato, esiliato, emarginato, i kulaki, i sacerdoti e tutti gli avversari politici).
Ecco, da noi e anche in Europa la sinistra non esce dal giacobinismo mentale e politico. La polemica sul fascismo contro il governo Meloni è solo pretestuosa, utilitaristica, saccente, dogmatica. Le serve unicamente per ribadire la sua superiorità etica, galvanizzare le sue truppe, delegittimando sine die la destra. E, ancora, altro vulnus, non esce dal sociologismo (figlio del marxismo), con cui si contrappone alle concezioni veicolate dalla destra. Su economia, criminalità, immigrazione, la destra punta sulla responsabilità individuale, come da diritto scritto, mentre la sinistra insiste perennemente sulle condizioni sociali, economiche che portano alle varie devianze. Non è forse lo schema “strutture-sovrastrutture”, il principio che “l’ambiente determina la coscienza”, secondo Karl Marx? E non è l’origine delle proposte della magistratura di sinistra e del sindacato di sinistra, circa il “diritto disuguale” (i crimini commessi al Sud vengono puniti diversamente, rispetto agli stessi crimini compiuti nel Nord ricco; oppure oggi i crimini commessi da migranti, trattati diversamente rispetto agli italiani, con l’attenuante sempre valido del “disagio sociale”)?
E poi, c’è un tema più profondo: da questa delegittimazione deriva la non accettazione delle idee opposte. Se la destra si dichiara correttamente contro l’aborto, contro l’utero in affitto, le adozioni gay, il gender, per la sinistra non si tratta di altre idee, espressione della democrazia e del pluralismo, ma di un’uccisione, un delitto nei riguardi del diritto delle donne ad abortire, ad avere i figli per forza, ad essere sessualmente come si vuole, a pensarsi secondo l’autopercezione sessuale etc.
E, per logica, se tu mi uccidi, io ti uccido (dalle minacce agli spari veri). E’ la “sindrome di Caino”: la vittima uccide l’altro, il capro-espiatorio.
Non è per caso la molla psicologia, emotiva, ideologica, che ha spinto Tyler Robinson, il presunto assassino di Charlie Kirk?
La verità è che non c’è il futuro rappresentato dalla sinistra e il passato, il medioevo della destra. Ma ci sono due concezioni della modernità che si stanno scontrando: quella “laicista”, globalista (le pulsioni dell’io, ogni desiderio un diritto, la mistica dell’accoglienza e dei diritti civili), e quella “antropologica”, incentrata sul diritto alla vita, la famiglia naturale, le identità storiche, culturali, religiose dei popoli. In soldoni, una società basata sulla natura e un’altra basata sulla mente.
Questo è lo scontro di civiltà attuale. E prima si accetterà tale realtà, nel reciproco rispetto (vinca il migliore, con le armi della democrazia), prima tornerà la civiltà del confronto e della dialettica.

Alle origini dell’odio. Il male oscuro della sinistra: la sindrome di Voltaire e di Caino
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